Mi è sempre piaciuto osservare i miei pensieri. Sono sempre tanti, irrequieti, spesso indecenti. Da dove spuntano? Quando riesco a soffermarmi più a lungo sul casino che ho in testa, noto che in tanti sono le conseguenze quasi automatiche delle associazioni. Vari pensieri, immagini, ricordi, fantasie si sfiorano e il flusso pensante si sposta di qua e di là senza mai stancarsi. Sembrerebbe la rappresentazione della rete neurale con i suoi nodi – nuclei quasi esagonali e con i dendriti spettinati che fluttuano stranamente in quella specie di gelatina cerebrale.
Mi sorprendono molto quelle associazioni improvvise che legano insieme due idee completamente estranee formando la genialata del giorno. Chi o che cosa lega i pensieri? Evidentemente c’è un campo, un ambiente, un etere che lega queste minuscole scariche elettriche. Sono io che faccio queste associazioni? Il più delle volte sì, anche se il mio muscolo volontario dell’attenzione che “manipola” i fili del pensiero me lo immagino molto poco allenato. Eppure proprio nei momenti in cui la mia attenzione scappa ribelle sulle colline vaganti della mente si connettono le risorse informatiche più ignote a volte nell’idea brillante o altre volte nella scemenza pazzesca che mi fa ridere di me stessa.
Nel mio caso, forse, un flusso così ricco di riflessioni si spiega con l’incessante ansia che mi ha sempre accompagnata lungo la vita. Sono stata però così brava ad espandere la “valvola” della mia mente che piano piano la terribile ansia che mi faceva sentire effettivamente l’energia corporea scendere precipitosamente verso i piedi in una frazione di secondo, ora quasi non c’è più. Ogni singolo pensiero anticipatorio ha saputo prepararmi diligentemente la strada dell’azione in modo da guidarmi verso i miei piccoli e grandi obiettivi. Sono molto riconoscente alla mia mente, la mia migliore amica e confidente nei tempi in cui non avevo amici e confidenti. C’è chi si spinge a costruirsi degli amici immaginari molto più dettagliati, io mi sono accontentata dei miei pensieri.
Le riflessioni sono ovvie tracce del vissuto già passato, e tutte le associazioni create conducono a strutture di pensiero passato. Il pensiero è un fenomeno già passato nel momento in cui si manifesta nella testa. A proposito, perché collochiamo i pensieri nella testa? Interessante.
La mente stessa è un fenomeno trascorso già, nonostante si presenti con pensieri freschi “di secondo” continuamente. Concetti già letti, idee già sentite, esperienze già vissute. Tutto in una bolla dotata di una membrana più o meno elastica che a me piace vedere come una valvola.
Quanto si può ampliare questa valvola? L’unico modo per smaltire un pochino la roba incatastata lì è l’azione. La razionalizzazione esagerata, il rimuginare continuo, l’intellettualizzazione, l’incessante logorio cognitivo sanno di vecchiume non agito. Una volta delineata la strada dell’agire, il pensiero finisce la sua finalità autentica.
La felicità risiede nel fare, dice Mihály Csíkszentmihály. Secondo me ha ragione da vendere. Mi basta pensare all’esperienza che ho vissuto da bambina mentre stavo lanciando palle di neve contro “il nemico” dietro al muretto di neve che il mio “esercito” di amichetti aveva costruito. L’unico momento nella vita in cui ho sentito perdere effettivamente il contatto con il tempo. Acquisivo a rallentatore anche la più sottile sensazione e mi sentivo leggerissima, fluttuando in un campo di esperienza diverso, in cui tutto era lì, per me. In quel momento non avevo alcun pensiero nella testa. Un nulla mentale assoluto, ma un fare totale.
La felicità è nel fare, nell’adoperarsi, nel muoversi. Per questo motivo ci accontentiamo della palestra, basta muoversi pur senza alcun’utilità immediata.
Oggi invece? Guardiamoci in giro. Una marea di gente infelice intrappolata nella propria bolla virtuale della mente. Impaurita, ansiosa, priva del cuor-agio di agire. Ognuno con un Genitore negativo, tetro, spesso critico nella testa, che ostacola ogni tentativo di fare. Per non sbagliare. Eppure l’apprendimento per errori viene permesso ai topi di laboratorio. Oppure per non destare il can che morde. Un cane che, è vero, non è sempre immaginario.
Quindi, ci si dà da fare piuttosto nel meta-verso. Nella bolla del metapensiero (io direi a metà) tutto è possibile: avere i soldi facili, fare la vita da sempre sognata, ma per la quale non ci si è mai impegnati più di tanto. Investendo nella bolla virtuale del meta-vivere rinunciamo al nostro mondo reale, alla nostra vita reale. Meno si fa, più si chatta, si gioca, si scorrono i video. L’internet allarga infinitamente le sue reti in proporzione all’infelicità dell’uomo.
Torniamo ad agire.
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