L’autostima è il valore che diamo a noi stessi, un valore che ognuno stima in base al proprio sistema di valori introiettate. I consigli su come rafforzare l’autostima sono praticamente inutili se non vanno a risuonare con il mondo interiore del lettore interessato ad aumentare il valore di sé. Per questo motivo mi voglio soffermare su un altro aspetto collegato all’autostima, non più di pertinenza immediata, ma che risulta essenziale nell’attribuzione valoriale identitaria: il conformismo.
Per quanto uno possa lavorare sulla propria autostima acquisendo nuove abilità, confrontando le sue qualità con quelle degli altri o diminuendo la severità nell’autogiudicarsi, l’autostima resta comunque bassa se non viene considerato il modo in cui l’identità viene formata e innestata al sistema psicosociale circostante.
Il valore del Sé dipende dal consolidamento dell’identità
In questo senso lo scrittore e psicanalista Erik Erikson parla di un adeguamento del bambino alla cultura in cui vive asserendo che ogni bambino è un ciclo vitale in una comunità di cicli vitali (Erikson, 1959). Lo sviluppo psicosociale è strettamente collegato alla cultura, la quale guida il comportamento dell’individuo promuovendo determinate tradizioni e credenze inserite negli obiettivi educativi e nella nozione di personalità sana. Quindi, l’identità dell’individuo diventa il mantenimento di una solidarietà interiore con gli ideali e l’identità del gruppo.
Per tutta la vita la domanda fondamentale resterà Chi sono Io? e in ogni stadio di sviluppo la risposta sarà diversa in base all’evoluzione della relazione tra i bisogni individuali e l’ambiente. Un bambino piccolo che si sente accettato aumenta la sua familiarità con i propri bisogni ed estende la sua fiducia in se stesso allo stesso modo in cui la fede religiosa trova le sue radici nell’accettazione assoluta dell’ordine cosmico. Se invece la sfiducia supererà questa fiducia, l’adulto affronterà la vita con sospetto, insicurezza, frustrazione e chiusura.
Gli stadi successivi di sviluppo si ergono come la famosa pila di monete che cito sempre, aggiungendo alla fiducia iniziale il senso di autonomia, oppure aggregando alla sfiducia di base il senso di vergogna e il dubbio. A seconda del modo in cui gli sono state insegnate le regole, il bambino le assimilerà con naturalezza o con frustrazione, sviluppando ulteriormente lo spirito di iniziativa oppure un perenne senso di colpa. L’idea è che il bambino rischia di consolidarsi quel sentimento diffuso di rifiuto lungo la vita ad ogni sgridata ripetuta, ad ogni rimprovero diventato abituale o alla continua violenza verbale o fisica, con drastiche conseguenze sull’autovalutazione del sé.
La formazione dell’identità individuale prosegue
Verso la pubertà le esperienze positive conferiscono al bambino la sensazione di intraprendenza e di audacia, mentre gli ostacoli e le sconfitte saranno la fonte dell’inferiorità e del senso di inadeguatezza. Il problema identitario raggiunge il suo apice durante l’adolescenza, mentre i nuovi bisogni di tipo sessuale scuotono profondamente la pila del sé. In questo momento l’identità può ricevere un valido rinforzo oppure sprofondare nella diffusione identitaria: Non sono diventato la persona che dovevo essere, non sono ancora ciò che sto per diventare, ma non sono neppure ciò che ero.
La capacità di integrarsi ai gruppi e alle loro regole determinerà la futura evoluzione del Sé, data la vicinanza della prossima sfida identitaria: l’intimità. Nella relazione d’amore avviene il “collaudo” dell’identità, in funzione del modo in cui il giovane saprà gestire i confini del proprio Sé. I due rischi estremi saranno questa volta il perdersi nell’altro, cioè la dissoluzione nei rapporti superficiali verso l’isolamento, il vuoto e la solitudine.
La crescita psicologica porterà poi l’individuo ad investire la sua fede in futuro attraverso la fiducia nella specie e la sua capacità di preoccuparsi per gli altri. Oppure sceglierà di indulgere su sé nella stagnazione, nella noia e nell’auto assorbimento del rifiuto procreativo. Quest’ultima scelta purtroppo sta diventando una tendenza endemica nella società odierna.
L’ultima fase: il Sé Integrale o l’estinzione?
Allo stadio finale dunque l’uomo raggiungerà l’integrità del suo Sé, con l’accettazione dei limiti dell’esistenza e della condizione umana in generale, oppure scivolerà nella paura della morte e nel disgusto per la propria condizione, con la conseguente estinzione.
Niente potrà cancellare il rifiuto iniziale, cioè la prima monetina distorta che comprometterà l’equilibrio dell’intera torre identitaria, ma questo senso di rifiuto potrà essere trasformato in una via verso nuovi orizzonti di comunità. Il sentimento di inadeguatezza e di sfiducia può provocare il conformismo nevrotico, la negazione con l’autodistruzione, oppure l’anticonformismo consapevole capace di costruire nuovi modelli di società.
A seconda della scelta individuale, il rifiuto, la vergogna, il senso di colpa e di inferiorità possono essere incanalati o meno verso una modalità migliore, più umana e più inclusiva, di aggregazione sociale. Il futuro può appartenere ai conformisti nevrotici e agli anticonformisti autodistruttivi, che in fondo seguono lo stesso percorso di annientamento, oppure ai divergenti.
Quest’ultimi sono coloro che trovano il coraggio di rinunciare al conformismo senza diminuire la propria autostima, anzi, riuscendo a portare la fiaccola della speranza in una comunità umana diversa da quella di oggi. Una comunità più sensibile verso i bisogni degli altri, più aperta verso la vita e la sua creazione, fiduciosa in un ordine cosmico non più confinato dai dogmi religiosi o dall’ecumenismo demolitore, ma ritornato alla sua fonte d’amore originaria.
Commenti