Complimenti! Quando ti sei messo in testa di non soffrire più, quando finalmente hai trovato la spinta per guardarti davvero e conoscerti così come sei, vuol dire che sei pronto per l’auto-osservazione. Si tratta di un cammino privo di un inizio e privo di una fine, ma ti garantisco che nulla sarà più così autentico, così emozionante, così grande!
Non devi avere la predisposizione all’autoriflessione, ma devi avere innata la sete per la verità. Ritornerai gradualmente alla tua essenza di valori, di ideali e di vibrazioni energetiche. Questo percorso non ha una quantificazione temporale, il tempo è solo una semplice dimensione misurabile in un contesto esistenziale limitato. Ma ogni istante di intimità con la bellezza del tuo corpo, con l’intensità delle tue emozioni e l’ingegnosità dei tuoi pensieri sarà unico.
Il punto di partenza: l’amore!
Non è uno slogan generico, ma la condizione fondamentale per poter realizzare la propria vita. Chi desidera imboccare questa strada è solitamente un’anima desiderosa di ritrovare se stessa. Per eredità, cultura e formazione, l’amore tende ad essere subito cancellato dai nostri valori coscienziali, nonostante questa parola si ritrovi ovunque nel mondo.
L’amore e l’essere umano sono la stessa cosa. Il bambino arriva sulla terra immerso nell’amore, polarizzato intensamente su questa unica carica energetica. Ciò che riceve invece è disastroso e difficile da integrare. Ma lo dovrà pur fare per poter completare la sua principale missione terrena: la liberazione del Sé. Al genitore spetta questo terribile compito di costruire il significato dell’amore all’interno del suo bambino. Come farlo senza averlo già conosciuto?
Qui interviene la fede o la divinità. I genitori, come i nonni, i bisnonni e tutto il resto del sentiero filogenetico, sono imperfetti. L’imperfezione è la realtà della nostra condizione umana e della vita sulla terra. Il bambino, però, arriva qui pensando di essere perfetto, e la sua presa di coscienza sull’imperfezione del mondo sarà molto dura. Per questo ci vuole qualcuno che intervenga a dare una mano ai poveri genitori. Dio rappresenta l’ottima autorità ultragenitoriale in grado di colmare le mancanze dei genitori, per rendere percorribile il cammino esistenziale dei figli.
La fede non arriva dai cieli, è una necessità umana assoluta. Dio diventa la fonte supplementare che nutre il nostro bisogno fondamentale di amore. Quando anche Dio viene immaginato mancante in questo senso, la storia umana prende una brutta piega. Gesù ha fatto un ottimo lavoro! Poi, lungo il corso dello sviluppo della società umana, le sembianze di Dio possono cambiare. Il transumanesimo, per esempio, vuole sostituire il Dio cristiano con un dio macchina. All’umanità la scelta.
Tornando al nostro percorso, bisogna partire da un punto di riferimento chiaro: l’amore. Che sia rappresentato da un Dio vecchietto e barbuto o da un Creatore energetico, non importa. Sei amato a prescindere, e rappresenti la parte unica e preziosissima di un Tutto d’amore. Senza la certezza dell’amore incondizionato, senza la consapevolezza che qualsiasi cosa abbia alla base l’accettazione assoluta di sé e dell’altro, non si va da nessuna parte. Perché la formazione della propria individualità richiede delle scelte pesanti, e senza il suo nutrimento esistenziale, il Sé non avrà mai la forza di crescere.
Si comincia. Ma prima di tutto, niente giudizio!
Nulla ostacola di più l’auto-osservazione come il giudizio. Per arrivare allo sguardo curioso e attento del pittore che studia innamorato il suo oggetto da dipingere, devi eliminare il picchio giudicante dalla testa. Non è una cosa realizzabile in un attimo, soprattutto per chi vuole far diventare l’auto-osservazione una sua seconda natura.
I cristiani sono culturalmente i più esposti ai sensi di colpa e sono abituati da piccoli all’autoflagellazione interiore. Il senso di colpa cristiano desta sicuramente una sensibilità particolare verso il prossimo, peccato però che gli insegnamenti religiosi non aiutano molto a trasformarlo nel più maturo senso della responsabilità. E dove c’è il senso di colpa, automaticamente si manifesta il giudizio. Un Bambino viene reso colpevole per la prima volta dal suo Genitore, e soltanto in seguito l’auto-colpevolizzarsi viene introiettato, cioè trasferito all’interno della propria individualità.
Quindi, per poter partire alla ricerca di sé, il giudizio deve essere sospeso. Ma solo il giudizio, non l’empatia e la responsabilità verso il prossimo e, soprattutto, verso se stessi. Questo rappresenta già il più grande salto in assoluto dell’esistenza. Smettere di giudicarsi vuol dire non condannare più, non dividere più la realtà, accettare ciò che si è. Punto. Ma per fare questo bisogna sapere che sospendere il giudizio non significhi accettare tutto.
Discernere o giudicare? Questa è la domanda…
Rimasti al pensiero infantile, solitamente siamo abituati a credere che giudicando qualcuno o qualcosa, allontaniamo da noi stessi ciò che non vogliamo essere o avere. In realtà, il giudizio è più pesante, perché comprende il rifiuto, la condanna. Insieme al giudizio ci è stato insegnato anche di condannare, cioè di respingere definitivamente dalla nostra visione del mondo una sua parte importantissima e non necessariamente negativa.
La condanna tronca i nostri orizzonti e ci rende incompleti, mentre il discernimento comporta solo una decantazione della realtà ai fini della propria individualizzazione. Accettando un lato oscuro dell’altro o di se stessi non vuole dire farlo diventare proprio, ma soltanto attribuirgli una collocazione nella propria visione della realtà.
La terza via tra l’azione e la reazione
Esempio: accetto serenamente la mia tentazione ad essere a volte invidiosa, sapendo che non metterò in atto questa invidia danneggiando l’altro con il mio comportamento. A volte mi potrà anche capitare di farlo, ma riuscirò comunque a riparare i danni e non ripetere più questa azione. Tutto qui. Quindi, nella costruzione della mia identità, scelgo di non essere invidiosa, cioè di non agire con invidia, sapendo però che questa qualità risieda dentro di me naturalmente. In questo modo, ho sospeso il giudizio, non mi auto-condanno, ma ho esercitato la mia scelta su chi voglio essere davvero.
Allo stesso modo avviene con i vari aspetti dell’altro. Constato la mancanza di coerenza dei politici, me ne rammarico e non la approvo denunciandola in modo categorico, ma non mi implico né emotivamente e né con delle azioni irrisolutive nella battaglia contro l’incoerenza politica. Separando il giudizio dalla condanna ne prendo atto della realtà imperfetta senza sprecare le energie cercando di eliminare i suoi aspetti indesiderati. I politici incoerenti fanno parte della realtà e la loro incoerenza va fatta emergere per poter favorire la libertà di scelta degli elettori. Ma nulla di più.
Il distacco da se stessi
Ora possiamo andare avanti. Vuoi conoscerti davvero? Allontanati da te stesso e osservati. Sembra strano, ma è così. Ogni processo di conoscenza ha bisogno della distanza necessaria tra l’oggetto e l’osservatore. Ora tu sarai gli entrambi. Quindi distaccati mentalmente dal tuo corpo, dalle tue azioni, dalle tue emozioni e dai tuoi pensieri. Il tuo corpo non si identifica completamente con ciò che sei veramente. Non sei affatto il tuo fisico, magari palestrato, e nemmeno le tue forme sinuose. Neanche le tue emozioni sono tutto di te. Non sei la rabbia, non sei la tristezza, non sei ciò che provi. I tuoi pensieri non ti rappresentano integralmente. Le tue idee sono soltanto una parte di te. Una piccolissima parte. Diventa un osservatore sempre più lontano, ma rimani comunque sempre te stesso.
Abituato culturalmente al pensiero dualistico e programmato a reagire ad ogni stimolo nella direzione opposta, ora dovrai fermarti e distaccarti dalla continua oscillazione tra buono e cattivo, giusto e sbagliato, bello e brutto. Osserva il picchio giudicante dentro la tua testa, distaccati dai tuoi pensieri e, prima di dare un giudizio quando “guardi” ciò che dici o fai, fermati. All’inizio riuscirai a fermarti poco, ma con il tempo le tue pause riflessive saranno sempre più lunghe.
Il segreto dell’auto-osservazione? La contemplazione.
Chi la chiama via di mezzo, chi la pausa quantica del respiro, altro la vede come il principio pulsionale della realtà. Rappresenta comunque il punto centrale al quale convergono i vettori azione-reazione, l’occhio del ciclone nel quale si fermano i nostri impulsi per poter essere sublimati e reindirizzati a seconda della nostra consapevole scelta. Senza poter vedere con chiarezza tutte le direzioni, non si può scegliere la via da percorrere.
Se il giudizio, cioè la lotta contro ciò che si osserva, non viene fermato, il distacco diventa la scissione schizoide delle parti importanti di sé. In questo caso l’auto-osservazione si trasforma in un rifugiarsi dell’Io incapace di discernere la realtà per autodefinirsi. Per essere sicuri di non rifiutare nulla, bisogna controllare lo stato emotivo. La rabbia, per esempio, impedisce la capacità di fermarsi e alimenta il circuito automatico azione-reazione. Ma sulla rabbia dovremmo dedicare un’attenzione particolare altrove.
L’auto-osservazione richiede dunque la saggezza orientale e la forza d’animo per poter contemplare ciò che si è e ciò che semplicemente c’è. Questa è la tappa fondamentale e la parte più complessa del percorso di autoconoscenza. Un lavoro che non finirà mai e che deve essere continuamente svolto, finché non diventerà una parte del proprio sé. L’auto contemplazione dinamica apre la strada delle scelte consapevoli e delle azioni sempre più mirate, porta all’aumento costante del benessere e all’espansione straordinaria della coscienza.
Una volta abituato ad auto osservarti, non potrai più tornare allo stato dormiente. Vivrai la tua dimensione interna come una seconda vita, più ampia e più soddisfacente, mentre la vita esterna si rafforzerà e si completerà di contenuti completamente nuovi. Ecco qui altri dettagli su come auto-osservarti. Benvenuto alla vita consapevole!
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