Esistono due modi principali per costruirsi una vita felice e lontana dai problemi. Il primo, e più comune, è quello di mettere la testa sotto la sabbia, illudendosi che ciò che non si vede non esista. Illusione o la realtà? Meglio la prima.
L’illusione, in questo caso, serve a proteggere dalla difficoltà di affrontare un peso insopportabile e, di per sé, non è un male. Diventa problematico solo quando ci si incastra in questo mondo dorato, rifiutandosi poi di fare i conti con la realtà. Tuttavia, anche questo rifiuto di confrontarsi con la negatività della vita non è necessariamente dannoso: indica semplicemente che la forza per affrontare il salto di qualità è ancora insufficiente.
La bolla delle illusioni
L’illusione può essere paragonata a una bolla in cui ci si rimane intrappolati perché si è perso il sentiero di ritorno. È una bolla formata da abitudini consolidate e schemi mentali rigidi, che non permettono di intravedere nuovi orizzonti di pensiero. Come uscirne? In primo luogo, bisogna chiedersi se si ha davvero il desiderio di farlo.
La tentazione di restare immersi in una visione idilliaca del mondo può essere molto forte. Ma se, nel profondo del cuore, la coscienza che grida la verità è ancora viva, prima o poi la bolla si romperà. Potrà essere un evento inatteso e doloroso, oppure una guida benevola che offrirà il suo aiuto, accompagnandoci gradualmente verso la realtà.
La pillola amara della verità
Il secondo modo per costruirsi una vita felice e appagante, lontana dalle ombre di questo mondo, è quello di affrontare il dolore. Facile a dirsi. Il dolore psichico è il segnale lanciato dalla coscienza che non riesce ad accettare contenuti che la mente considera inaccettabili. Esso nasce solitamente da un bambino interiore che perde la sua fonte regolare di affetto.
Un tradimento, un lutto, una separazione o un torto da parte di una persona considerata essenziale per l’amore sono eventi che sembrano insormontabili. In queste circostanze, la mente etichetta automaticamente queste situazioni come zone proibite, bloccando i pensieri e limitando la coscienza a non andare oltre. Più traumatico è l’evento, maggiore sarà la barriera mentale che proteggerà la coscienza.
Superare la sofferenza
La soluzione consiste nell’offrire alla mente nuovi giudizi di valore, che possano integrare l’oscurità dei “no”, e nello stesso tempo rinforzare il bambino interiore grazie al supporto del Genitore interiore. Ovviamente, tutto questo avviene dentro di noi, attraverso un lavoro di consapevolezza sugli stati dell’Io, di cui abbiamo parlato ampiamente in precedenza. Tuttavia, ci vogliono i tempi giusti: il dolore ha bisogno di tempo per essere elaborato. C’è bisogno di tempo per costruire, nell’immaginazione, un contesto nuovo e reazioni differenti. “Avrei potuto reagire diversamente, avrei potuto dire altre cose”, e così via.
Inoltre, occorre tempo per raccogliere le informazioni necessarie all’elaborazione della mancanza subita: “dove vanno veramente le persone defunte? Cos’è la coscienza? Come avvengono gli scambi di energia nelle relazioni? Chi siamo?” In questi casi, religione, psicologia, spiritualità new age o quella delle tradizioni antiche o dei nativi possono offrire risposte. Esistono risposte per tutti i livelli di coscienza. Fornire a noi stessi risposte positive è fondamentale. Se ci si blocca nel fatalismo del tipo “ormai non si può fare nulla, è tutto perduto, sarò solo per sempre”, è segno che il bambino interiore non ha ancora le forze per uscirne, o che il “Genitore affettivo” non è abbastanza strutturato.
La coscienza a matriosche
Affrontare il dolore, cioè il lato oscuro di ciascuno di noi, è un’impresa eroica che richiede non solo tempo e risorse, ma anche il giusto sistema di riferimento. Una coscienza isolata, confinata in un sistema di riferimento ristretto, sarà fortemente svantaggiata nell’elaborazione degli aspetti negativi della realtà. Una coscienza più aperta, invece, avrà già gli strumenti necessari per collocare gli eventi negativi in un flusso evolutivo più ampio, in cui i significati sono parte di una dimensione più articolata e, quindi, più facilmente elaborabili.
Eppure, la sfida che il dolore propone alla coscienza limitata e isolata sarà proprio quella di sfondare i propri limiti, per accedere a una dimensione di vissuti più estesa, meno separativa e, quindi, meno dolorosa.
Quindi, illusione o realtà? Qualsiasi scelta venga fatta, è comunque la scelta giusta per la matriosca in cui si vive.
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