Qual è la risposta dell’indagine interiore a una domanda così intensa? Stiamo oggi assistendo al crollo della spiritualità umana, all’autodistruzione dell’intera società, o soltanto ad un rinnovo spirituale? Dio è morto, o soltanto la sua vecchia immagine?
Perfettamente consapevole del crollo religioso in atto, André Malraux predisse addirittura la morte del ventunesimo secolo, mettendo in stretto collegamento la spiritualità con l’esistenza della comunità umana.
Chi è morto, il Dio individuale o il Dio istituzionale?
All’inizio del terzo millennio l’Occidente sembra che abbia perso Dio sulla strada, caduto da qualche parte nel bidone della corruzione ecclesiastica. O magari cacciato via dall’incapacità della Chiesa istituzionale di rinnovarsi per offrire un riparo spirituale all’uomo moderno investito in pieno dall’onda di scientifismo positivista.
Come ogni struttura istituzionale, la Chiesa dei nostri tempi sta subendo l’ennesimo decadimento storico, dovuto al degrado valoriale che accompagna sempre la sovragestione burocratica e la troppa invadenza della norma religiosa nella vita dei fedeli. Il potere temporale è decisamente incompatibile all’elevamento spirituale. Non c’è bisogno di un Weber per capire che la privazione drastica della libertà d’azione, insieme al distacco dai valori umanamente riconosciuti determina oggi l’insofferenza e il rifiuto dell’individuo, piuttosto che l’emarginazione con la quale la chiesa difendeva una volta la sua stabilità.
Fortunatamente la società occidentale ha alle spalle più di un secolo di istruzione di massa che ha permesso saltuariamente anche la formazione del pensiero critico, non del tutto inquinata dallo squallore della pop culture degli ultimi decenni. Nonostante i danni immensi provocati dalla televisione e dai media in generale, l’occidentale medio possiede oggi un Io molto più consistente da poter mettere in discussione la solita introiezione dell’immagine di Dio. Ovviamente con la conseguente frammentazione degli orientamenti religiosi e l’aumento del disinteresse nei confronti della spiritualità in generale.
La morte delle ideologie
Strettamente connessa alla difficoltà religiosa di radunare i fedeli si trova anche il noto fenomeno della morte delle ideologie. Le chiese si svuotano allo stesso ritmo dei seggi elettorali, mentre della politica attuale si può dire di tutto, tranne che si fondi su un minimo straccio di valori ideologici.
Cos’hanno in comune la religione e l’ideologia? L’immagine dell’autorità ideale. L’ideologia è un sistema di credenze, tradizioni, principi e miti, cioè un sistema formato dalle rappresentazioni idealistiche dell’uomo sulle relazioni e le leggi che governano il suo mondo. Che siano leggi dell’uomo o leggi di Dio, l’autorità costruita interiormente è una sola, costruita sulle introiezioni antiche di un padre immaginato e poi consolidata dalle percezioni ulteriori di un maestro, di un professore, di un capo e di una società. Una mescolanza di rappresentazioni ormai lontane dalla realtà originaria, forgiate nell’intensa confusione emozionale che ognuno possiede internamente, e poi proiettate all’esterno, in una riunione di militanti politici o del palazzetto condominiale.
Nel bisogno innato di crearsi un dio, l’umanità moderna, malata di religiosità, ha ceduto alla tentazione di sostituire il suo Dio spirituale ormai obsoleto, con i semidei avanzati dalla cultura progressista con orientamento escatologico-scientifico. Morto Dio, se ne fa un altro, no? Ma anche questi nuovi surrogati spirituali si sono rivelati soltanto degli indegni distributori di illusioni.
Per il filosofo e teologo italiano Battista Mondin, le principali ideologie miseramente fallite sono l’evoluzionismo darwiniano, la psicanalisi freudiana e il comunismo marxista. Nessuna delle loro promesse, cioè il progresso illimitato, la libertà dall’oppressione interiore e la giustizia sociale, non sono state mantenute.
E così, inevitabilmente la “morte di Dio” ha trascinato con se non soltanto
Battista Mondin, il crollo delle ideologie, p. 14
suoi Profeti, ma molto presto ha contagiato e ferito a morte anche i semidei
della grande trimurti del pensiero contemporaneo, Darwin, Freud e Marx.
Dio e il Super Io
Morta come promessa di eterna salute mentale, la psicanalisi rimane comunque la chiave di lettura per la comprensione del fenomeno della costruzione dell’immagine di Dio. L’immagine idealizzata dell’autorità si colloca nella struttura del Super-Io, l’istanza psichica formata in seguito ai processi di identificazione con il padre, la sublimazione del contenuto inconscio pulsionale, e la costruzione dell’ideale dell’Io. Un ideale considerato come un compromesso tra i conflitti tra il mondo interno individuale e il suo mondo esterno, secondo Freud.
Il Super-Io trae la sua origine nel complesso edipico e, per questo motivo, riflette una visione idealistica sul mondo e sulla morale fortemente influenzata dall’autorità genitoriale. Nel mortaio alchemico del Super Io il senso di colpa pulsionale mescolato con la libido desessualizzata dal complesso edipico tramutano grazie alle limitazioni imposte dal principio di realtà in una percezione più matura di ciò che vuol dire l’autorità e la sua legge, il dio, il bene e il male, la vita, la società e lo stato.
Nella sua qualità di formazione sostitutiva della nostalgia del padre, l’ideale dell’Io contiene il germe dal quale si sono sviluppate tutte le religioni […] Nel corso dello sviluppo umano maestri e autorità hanno continuato a svolgere le funzioni del padre; i comandi e i divieti di costoro hanno conservato la loro efficacia nell’Io ideale, ed esercitano ora, come “voce della coscienza”, la censura morale […] Religione, morale e sentimenti sociali […] sono stati acquisiti filogeneticamente a partire dal complesso paterno.
Sigmund Freud, L’Io e l’Es, Bollati e Boringhieri, 1978, p. 55
Il Super-Io è alla base della formazione della coscienza morale e la rappresentazione di Dio, il serbatoio di valori fondamentali con le quali ogni individuo si identifica per poter dare un significato oggettivo alla propria esistenza.
La morte interiore del padre
Quindi la morte di Dio risulta profondamente collegata ai cambiamenti significativi nella struttura del Super-Io, individuale e collettivo. L’essenza del Super Io testimonia l’amore originario del bambino per il proprio padre, un amore intenso e straziato dal senso di colpa e dall’aggressività manifesta. Un padre introiettato e poi diventato collettivamente un’autorità istituzionale – la civiltà – o un Dio, che incarni gli ideali propositivi di giustizia, di protezione e di potenza. Un Dio amato e odiato, ma mai tradito, custodito ancor di più nelle circostanze difficili, in cui il suo intervento sembra pesantemente messo in discussione.
Così come l’immagine del padre interiorizzato non potrà mai morire, Dio non morirà mai all’interno della psiche umana. Subirà invece dei cambiamenti di senso e di valore, sarà distrutto e poi ricostruito, sostituito o tramutato, il tutto in perfetta sintonia con la crescita interiore dell’individuo e della comunità.
Il nichilismo del Dio ucciso
Una delle possibili direzioni che potrebbe assumere lo smantellamento dell’autorità divina interiore è il nichilismo. La delusione vissuta dal bambino ormai cresciuto, il quale scopre l’inconsistenza delle promesse fate dal suo amato Dio durante l’infanzia, è assai intensa. Qualora il terreno psichico non sia stato nutrito nel frattempo anche da consistenti realizzazioni nella vita quotidiana. Privo dell’appoggio sostanziale e tradito nelle sue più profonde aspettative, l’individuo ferito viene travolto dall’impatto della reazione oppositiva che lo può condurre alla negazione. Totale? Ho dei dubbi.
Quando il Dio muore interiormente, l’identità dell’uomo si trova sospesa sopra l’abisso come una fune tra la bestia originale e il potenziale superuomo, alla ricerca disperata dell’equilibrio salvifico. Girate le spalle agli istinti scimmieschi, al povero uomo sottoposto al dilemma zarathustriano rimangono soltanto due scelte: cacciare fuori lo spirito da leone che impone l’affermazione della sua volontà ruggendo “io voglio”, oppure sottomettersi all’ennesimo nuovo drago padrone che lo schiacci sotto l’imperioso “tu devi”.
In realtà, che siano attive o passive, le entrambe scelte poggiano sul cadavere ancora fresco del Dio valoriale, ed è per questo motivo che nessuna delle due possa liberarsi dalla nichilistica mancanza di senso. Né il servo del drago padrone e né il superuomo non hanno sostituito l’ideale interiore, restando eternamente appesi sopra la disperazione suicida di chi ha perso se stesso.
Il Dio surrogato
Il nichilismo è una posizione molto vicina alla linea di confine della patologia psichica, in quanto la distruzione delle radici comporta anche la morte della pianta stessa. La pulsione di morte nata dal distacco disumano dalla libido spinge inesorabilmente all’uccisione delle parti di sé. L’autodistruzione non è sempre obbligatoria, e l’ateismo autosufficiente può essere una soluzione nel caso in cui il sostentamento degli ideali identitari si ritrova nell’equilibrio degli elementi sostitutivi.
Sull’arido terreno nichilistico si possono facilmente impiantare delle deviazioni fideistiche di qualsiasi tipo, tutte con una decisa funzione immediata di nutrimento e di sostegno. Rimangono comunque inconsistenti e di breve durata, perché prive della condizione di continuità, l’unica che potrebbe consentire la conservazione dell’integrità identitaria.
L’ateismo materialista, il new age e l’ecumenismo sono degli esempi di sradicamento dalla disposizione identitaria primaria, in quanto costruite non sull’accoglienza dell’immagine idealizzata, magari contestata e restaurata, ma sulla totale distruzione della rappresentazione interna del padre affettuoso e protettivo, il garante assoluto della personalità connessa alle sue origini.
La via di Cristo
Per chi invece il principio di realtà rimane ancora ancorato ad una base di partenza preesistente ed comunemente (ma non largamente) condivisa, la nuova immagine spirituale inserita nello stato dell’Io genitoriale non è più una semplice deviazione, ma un tronco robusto sul quale gli innesti apportano un fertile sviluppo armonioso.
In questo caso non si ha a che fare con “un nuovo Dio”, ma con lo stesso Dio proiettato in una realtà più ampia, con dei valori più specifici e più profondi. L’uomo consapevole di sé non rinega il suo ideale, ma lo arricchisce attribuendoli una sensibilità maggiore e un collegamento più stretto e più preciso con la fonte di energia primaria. Un Dio più ricco, più sensibile e più intonato all’estensione del registro armonico umano, associato all’individuo non solo in base ai legami viscerali, ma anche cognitivi, energetici, correlati all’integrazione di un nuovo Sé, più maturo, più ricco di orizzonti e di risorse.
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