Nonostante l’impressionante vastità della confusione riguardo all’argomento, la risposta è abbastanza semplice e non viene da profonde considerazioni di tipo spirituale, ma dalla classica teoria dello sviluppo morale dello psicologo americano Lawrence Kohlberg. Imperfetta e ulteriormente criticata o completata, tuttavia la sua teoria riesce a dare una risposta abbastanza chiara su come facciamo a distinguere il bene dal male.
Kohlberg parte dal presupposto secondo cui le strutture mentali che sottendono il ragionamento morale accomunano tutto il genere umano indipendentemente dal genere, etnia e contesto socioculturale e storico. Secondo la sua teoria, lo sviluppo morale riguarda soprattutto il pensiero e segue il consolidamento della rappresentazione che ognuno possiede di sé stesso e dell’abilità di mettersi nei panni dell’altro. Ogni individuo si colloca ad un determinato livello di sviluppo morale in base alle proprie caratteristiche evolutive.
Ecco la scala verso il paradiso dell’etica umana
Il primo livello è quello preconvenzionale, secondo cui le norme morali e sociali sono vissute come esterne al sé e sulle quali l’individuo non riflette, passando dall’iniziale orientamento premio-punizione, cioè norma-sanzione, all’orientamento individualistico strumentale di chi considera che il giusto è relativo in base ai propri interessi. Quindi i vari motto del primo livello sarebbero “Ti conviene stare lontano dai guai”, “Chi fa i fatti suoi campa cent’anni”, ma quando sei costretto è meglio fare “Occhio per occhio e dente per dente”. Purtroppo, la maggioranza della popolazione si trova a questo livello.
Il livello convenzionale raggruppa gli individui che hanno introiettato le convenzioni, le regole e le aspettative sulla giustizia come componenti del sé. Qui abbiamo i bravi ragazzi o i conformisti buonisti secondo cui le aspettative, i sentimenti e gli accordi sociali condivisi hanno la preminenza sugli interessi personali. L’individuo si identifica fortemente con la comunità così come l’adolescente ha bisogno di conformarsi al sistema normativo del gruppo di compagni.
Ad uno stadio più evoluto di questo livello avviene poi l’identificazione con l’intero sistema sociale, e l’individuo passa dal parteggiare per la famiglia e il gruppo di amici alla difesa degli interessi della società. La regola aurea della moralità di questo livello è “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”, che presuppone una matura capacità di mettersi nei panni degli altri. La paura della punizione o la ricerca del successo personale vengono sostituite con la prevalenza del legame affettivo co la comunità in cui si vuole essere pienamente inseriti.
Chi ci colloca al terzo livello, l’istruzione o l’umanità?
Il livello postconvenzionale comporta un’adesione profonda a valori e principi generali quali libertà, equità, solidarietà, ecc. La coercizione esterna viene sostituita con un sentimento interno di condivisione delle leggi che legano l’individuo alla società in base ad un contratto sociale immaginario. Lo stadio più evoluto di questo livello riguarda i principi etici universali ai quali l’individuo lega la sua stessa identità. Per questo motivo, il rispetto delle leggi o degli accordi sociali viene assicurato solo se conformi a questi principi di libertà individuale, di fiducia e di uguale trattamento per tutti gli esseri.
A questo punto scompare la relatività dell’accordo sociale tra gli umani, perché i principi della vita e della libertà devono essere sempre sostenuti in ogni società. Le leggi hanno senso solo se in accordo con la visione etica dell’individuo governata dai principi universali di giustizia, uguaglianza dei diritti e rispetto per la dignità di ogni essere umano.
La moralità dell’individuo si sviluppa dunque insieme all’ampiamento della sua coscienza, che ad ogni stadio e livello include un sistema di convivenza sempre più espanso. La relatività tra il bene e il male, tipica dei primi livelli, si annulla completamente nel momento in cui gli interessi individuali coincidono con gli interessi dell’intero sistema e l’individuo ne diventa parte integrante.
La critica maggiore al modello kohlberghiano riguarda il fatto secondo cui il raggiungimento delle fasi più evolute del pensiero morale sia appannaggio di una ristretta minoranza di popolazione con particolari caratteristiche culturali e di istruzione. Infatti, l’errore di Kohlberg riguarda l’associazione dello sviluppo morale allo sviluppo cognitivo, secondo cui l’interiorizzazione dei valori morali più alti corrisponderebbero ad una maggiore capacità di pensiero, data dalla cultura d’origine e dall’istruzione.
Chi detta le regole morali: il cuore o il pensiero, l’autorità o l’interiorizzazione?
In realtà, lo sviluppo morale non segue affatto il potenziamento delle abilità di ragionamento, e nemmeno la differenza tra le leggi dell’uomo e le leggi della natura. È vero che la morale si si sviluppa in base alle leggi imposte prima dai genitori, poi dagli insegnanti, dai governi e dalla società e, in fine, dalla natura stessa. Ma questo non fa altro che confermare che ciò che determina la formazione del senso morale sia soprattutto la sensibilità con cui un individuo sperimenta la vita stessa.
La differenza tra il bene e il male risulta dunque dalla capacità individuale di considerare gli altri, il contesto e le relazioni con il sistema in cui ci si sente integrati o meno, cioè il grado di connessione con il proprio ambiente e la sensibilità di interazione con esso. Finché l’uomo non raggiungerà una tale impressionabilità da essere spinto ad immergersi totalmente nel suo ecosistema originario, il bene e il male resteranno due polarità facilmente confondibili. Diffidate da chi difende dunque la relatività dei valori morali e non ha ben chiaro in mente, ma soprattutto nel cuore, come distinguere il bene dal male. L’intelligenza cognitiva ci aiuta a comprendere la nostra realtà, ma è soltanto l’intelligenza emotiva che si unisce ad essa.
Commenti