L’eredità che i nostri genitori ci trasmettono è fondamentale nel percorso di ricerca della propria autenticità. I condizionamenti imposti dalla cultura familiare pesano come dei macigni quando vengono in contraddizione con la natura individuale. Il comandamento supremo ci impone da sempre “Onora tuo padre e tua madre”. Tuttavia, possiamo parlare della colpa dei genitori nella difficile tortuosità della vita?
C’è un principio profondo e molto antico secondo cui l’operato dei genitori non va mai messo in discussione. Molte culture poggiano su questa innominabile legge che condanna pesantemente i figli contestatari che smettono di onorare il padre e la madre. Eppure nella psicoterapia scendere nei meandri oscuri del passato per illuminare le zone d’ombra è assolutamente necessario per ripristinare il buon funzionamento psichico dell’individuo.
I genitori sono degli dei o degli infami?
A questo punto bisogna ricordare una delle più frequenti distorsioni cognitive conosciuta in psicologia come pensiero dicotomico. Secondo questo errore di pensiero la realtà viene divisa in due polarità opposte, o bianco o nero, e tutte le eventuali alternative o sfumature che potrebbero arricchire le nostre scelte o percezioni scompaiono. Nell’ottica dicotomica, mettere in discussione il lavoro più nobile al mondo, quello di allevare i figli, significa opporsi all’intransigente precetto che indica l’unica direzione per conseguire la felicità: onora tuo padre e tua madre.
Con il tempo o forse con l’abitudine, questo imperativo si è trasformato in una rigida imposizione che spinge i figli a non contestare mai l’autorità genitoriale, e da qui per estensione, a non contestare mai l’autorità in generale. Conservare nella mente una rappresentazione positiva del Genitore entra però in forte contrasto con un genitore reale autoritario, troppo permissivo, o comunque poco incline a favorire lo sviluppo equilibrato dei figli. Un contrasto che la mente del bambino piccolo non è capace di sostenere.
Ci vuole assolutamente un genitore “ottimale” che assicuri la formazione almeno delle basi del giovane Sé per poter fare ingresso nella vita. Quindi, che sia per obbedienza al comandamento religioso e socio culturale, o per pura necessità di un equilibrio psichico di base, il figlio finisce per mettere il genitore sul piedistallo, consacrando in questo modo l’infanzia felice che ipoteticamente tutti dovrebbero aver vissuto.
L’adolescenza – giù gli idoli dal piedistallo
Il naturale sviluppo umano presuppone però un periodo in cui gli scheletri dell’armadio di famiglia dovrebbero essere disseppelliti, e quello è senza dubbio la terribile adolescenza. L’adolescente burbero ha l’occasione di fare i conti con le figure genitoriali, in modo da poter entrare nella vita matura con un’immagine risanata dei suoi riferimenti essenziali. Nel caso in cui il divieto morale supera d’intensità l’impulso di chiarire le oscurità dell’infanzia, il figlio sotterra l’ascia di guerra, con la conseguente formazione della personalità nevrotica in qualsiasi delle sue coloratissime varianti.
Altrimenti, il figlio inizia la guerra suicidaria contro i genitori e quindi contro di sé. Le implicazioni di tutto ciò riguardano la distruzione della propria immagine di Sé con la risultante deriva autodistruttiva. Risucchiato dal vortice insaziabile dell’astio e della vendetta, in cui resterà per sempre nella posizione debilitante della vittima, il figlio non avrà più la possibilità di risanare i conti con il suo creatore terreno.
Il rancore costante verso i propri genitori faciliterà l’abitudine di attribuire loro qualsiasi altro tipo di colpe che il figlio non sarà più in grado di trasformare in responsabilità da assumersi consapevolmente, alimentando in questa subdola maniera il fuoco della propria autodistruzione.
Onora tuo padre e tua madre così come sono
Eppure tra le due opzioni esiste una via di mezzo. La via dell’analisi distaccata, oggettiva per quanto possibile, centrata a mettere in evidenza la dinamica dei fenomeni e non la colpa incriminante. La via del figlio Adulto. I genitori perfetti non esistono, così come non esistono gli umani perfetti.
Il senso della messa in evidenza dell’errore genitoriale non è accusatorio e giudicante nei confronti delle persone che fanno del loro meglio nel tirare su un bambino. La contestazione va verso la comprensione profonda della sofferenza e della difficoltà del ruolo genitoriale e favorisce la modifica volontaria del funzionamento deficitario della propria persona.
Non esiste guarigione senza la comprensione della fonte di malattia, allo stesso modo in cui non esiste scelta diversa senza la conoscenza della via errata. Nell’esame del legame causale tra l’azione e la reazione non ha alcun senso biasimare l’azione dannosa ma imparare come evitare la reazione altrettanto dannosa.
Quindi mettere in discussione non la persona e le intenzioni amorevoli del genitore, ma le sue azioni discutibili offre proprio la possibilità di spezzare il cortocircuito che blocca i sentimenti di amore reale verso chi ci ha generati. Risolto il conflitto tra la naturale affettività verso i genitori che tutti i figli provano a prescindere, e la discutibilità dei comportamenti che ogni genitore può aver messo in atto, si aprono nuovi scenari di relazione in cui la vecchia mentalità della colpa viene sostituita dal senso di responsabilità.
Quando il genitore si assume, o semplicemente gli viene attribuita la sua responsabilità, si placa immediatamente il rancore del figlio. Il genitore torna a riprendersi il ruolo autorevole di figura generatrice di vita, mentre il figlio ristruttura il suo Genitore interiore attribuendogli finalmente quella positività autentica così necessaria alla costruzione dei valori e degli ideali di vita.
Almeno che non venga in molte situazioni di conflitto con i figli, il genitore intelligente si ripete che i conflitti sono una parte necessaria, anche se dura da sopportare, del processo di crescita, e che l’importante è che i figli arrivino a sviluppare idee e valori personali. Purtroppo pensieri del genere, indubbiamente corretti, sono di scarso aiuto per il genitore quando ha la sensazione che il figlio, attorno al quale, oltre tutto, ha costruito gran parte della sua vita, stia mettendo in discussione non solo i suoi valori bensì il suo stesso modo di vivere. In questi casi quello che di solito riesce d’aiuto è richiamare alla memoria le volte in cui noi stessi ci siamo comportati come sta facendo ora nostro figlio, o abbiamo avuto l’impulso di farlo … Ecco: se riusciamo a ricordarci la pena e il turbamento da noi provati in occasioni analoghe, nonostante l’aria di sfida e l’ostentata indifferenza, allora la nostra ira svanirà e proveremo invece una profonda simpatia per l’intima sofferenza che nostro figlio cerca di nascondere (a noi e probabilmente a se stesso) con il suo atteggiamento di strafottenza o di superiorità”. (Bruno Bettelheim – Un genitore quasi perfetto)
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