Ho aperto questo sito sull’autoconoscenza non perché avrei raggiunto chi sa che meta significativa, ma per lasciare delle piccole briciole lungo il mio cammino interiore. A qualcuno forse serviranno. Guardando indietro dopo anni di autoriflessioni, mi pare di intravvedere un senso in tutta questa ricerca così piena di ostacoli, meandri, inversioni e ripide salite. Qui mi riferirò soltanto alla mia esperienza personale, nella speranza che le mie tortuosità interiori siano illuminanti per chi muove i primi passi verso la conoscenza di sé.
Il consolidamento del Sé
Il senso di questa ricerca è ben collegato alla definizione del Sé, come compreso dai molti più avanti di me, in ogni accezione della parola. Un Sé costruito con fatica soprattutto dai valori e dalle loro conseguenti azioni piene di significati. Un Sé ampio, robusto e paradossalmente fluido allo stesso tempo, perché privo dell’Io egoico, quello delle maschere, dei ruoli e degli schemi mentali da recitare.
Più si consolida il Sé, più si dissolve l’ego mentale, colui che si insinua tra ciò che sei e la realtà, un falso difensore del Bambino ferito che ti propone la sua premurosa protezione fatta da paranoie, deliri di superiorità e sogni di potere. Le esperienze, i confronti, ma soprattutto l’onestà interiore mi hanno aiutata a definire sempre più accuratamente la mia essenza, rinunciando non senza difficoltà alle bramosie illusorie di un Sé ideale irraggiungibile, e quindi eternamente mortificante.
La voce dell’essenza
Ciò che mi ha determinato a intraprendere questa strada è stata una voce dentro di me che si ostinava continuamente a dirmi una specie di verità molto spesso ostile ai miei soliti pensieri e azioni. Una voce che oggi non la identifico affatto come il Genitore interiore, introiettato a sembianza dei miei reali genitori. Si tratta di una voce che solitamente dicono sia la coscienza, una voce neutra senza l’intento maldisposto nei miei confronti, ma soltanto portata a mettermi di fronte alle mie responsabilità.
Certo che inizialmente poteva confondersi con quella del mio Genitore interno, disprezzante il più delle volte, ma nei momenti più bui, in cui “vedevo” il mio Genitore gongolando per le mie disfatte, la voce onesta iniziò invece a distaccarsene chiaramente spingendomi a reagire in senso positivo. All’inizio del mio “risveglio”, come lo chiamano in giro sempre più spesso, non lo faceva con dei messaggi belli chiari, si limitava soltanto ad illuminare le mie iniziative benefiche con un entusiasmo particolare, un sentimento profondamente intenso di esuberanza ravvivante.
Possiamo chiamare questa voce come vogliamo, angelo, coscienza, luce, ecc., ma io credo sia proprio il nostro vero Sé, quel Sé Superiore, lontano e poco interessato delle nostre vicende quotidiane, quel misto inconfondibile d’anima vibrante e di pensieri puri, spontanei. Un nucleo organico, vivente, che si manifesta nella nostra vita sin dall’infanzia e che inizia a brillare quando diamo vita ai sogni più remoti del nostro bambino interiore, pulsando intensamente nei momenti in cui riusciamo finalmente ad alzarci per tornare a volare.
L’evasione dalla gabbia mentale
Potrei considerare il mio percorso di ritorno ai valori di base della coscienza come una discesa da una specie di bolla virtuale della mente, un’evasione difficoltosa dal mondo sterile del raziocinio fine a sé stesso. Ovviamente, quando ci si è dentro non si ha la minima consapevolezza di ciò, anzi, si è molto convinti di un funzionamento completo e autonomo.
Le poche spie accese sono quella delle relazioni, che fanno acqua da tutte le parti senza la più pallida idea del perché, quella del corpo, che piano piano lancia qualche segnale di disagio, e quel profuso senso di infelicità che caratterizza la vita di tutti i giorni.
Avevo la netta percezione della separazione netta tra la mente e il cuore, ma credevo intimamente che l’avrei superata con l’abituarsi alla solita imitazione nevrotica delle emozioni e dei sentimenti autentici, che molta gente mette solitamente in atto per superare il senso dell’irreale.
Il dolore come guida interiore
Nella maggior parte di noi il cambiamento viene innescato dalla sofferenza per una perdita che si riverbera nella nostra struttura psichica più profonda. Prima o poi si arriva inevitabilmente al momento della crisi identitaria che ci costringe a metterci in discussione e a voler buttare via tutto per iniziare da capo. Questo in senso positivo.
Perché tanti scelgono invece la strada dell’autodistruzione, spesso più immediata e accessibile. Non so dire se sia la crisi a dare avvio al processo di trasformazione, o quella voce luminosa che ci invita verso l’autenticità. O forse è proprio quella voce che, inevitabilmente, scatena la crisi. Una cosa è certa: il ritorno è diventato per me un continuo lavoro interiore, fatto di ricerca, esperimenti e inevitabili errori.
Chi Sono Io?
Lentamente sono andata a ricostruire me stessa sin dalle fondamenta, partendo ogni giorno dalla domanda Chi sono Io? I primi passi sono terrificanti, perché vai a distruggere tutte le certezze, e non tanto le tue, quanto quelle di chi ti sta accanto.
Ti alzi dalla valle di lacrime con la spada in mano, spezzando il tuo finto personaggio eretto con tanta difficoltà sul palco di un teatro pieno di spettatori per i quali in fondo non hai mai avuto tanta considerazione. Vai a smontare quel buonismo al quale ti eri aggrappato per piacere a chi avrebbe potuto avere un valore per te, rendendoti conto che tutte le tue proiezioni avevano incontrato uno specchio torbido, incapace di riflettere la tua verità interiore.
E allora con il cuore affranto rinunci a quel pezzo di vetro opaco, spesso rappresentato dalla persona amata, e vai a porre affidamento soltanto su ciò che sai di avere dentro di te. Questo è un traguardo importante del cammino di ritorno a sé stessi, il momento in cui inizi ad esercitare la libera scelta dei valori significativi per te, i mattoni della tua nuova identità.
Vivere dal cuore
Da qui la salita diventa meno difficoltosa, perché ogni scelta porta con sé delle piccole soddisfazioni e rivincite. Rimasto senza le stampelle, realizzi che non hai più alcuna via di ripensamento e sei costretto ad andare avanti a qualsiasi costo. E il costo è sempre quello, la perdita della ribalta in cui eri soltanto una maschera applaudita per qualità inesistenti.
Ma qui devo testimoniare una mia grande scoperta: ogni piccola conquista autentica, ogni azione fatta dal profondo del cuore, decisa in modo autonomo e spesso estremamente irrisoria per il tuo vecchio sistema di riferimento, irradia delle conseguenze positive inaspettate nella vita di tutti i giorni. Tutto ciò che viene fatto con la passione del cuore, con quell’entusiasmo inaccessibile ad una persona che finge di vivere, apre delle porte inattese che ti invitano ad andare avanti perché si tratta della strada giusta.
Una strada in cui senti che i valori del tuo cuore si uniscono con ciò che ti dice una mente sempre più libera dai condizionamenti del passato, ricongiunti in un’unica direzione, quella della verità su ciò che sei.
Il corpo come membrana dell’anima
Le uniche deviazioni possono intervenire nei momenti di stanchezza, quando la solita mente inquinata, pesante, falsa, impaurita prende di nuovo il sopravvento. Sono quei periodi no, in cui improvvisamente sembra che tutto vada a ritroso senza una chiara spiegazione. La stanchezza psichica è spesso collegata a quella del corpo, il quale chiede la sua dovuta attenzione.
Ed ecco che impari piano piano ad integrare tutte le dimensioni identitarie, psichiche e corporee, in un’alternanza armonica di sincronismi che ti mostrano inequivocabilmente che fai parte di una realtà invisibile fatta di energie pulsatili.
Una volta entrato saldamente nel flusso invisibile che ti portano verso ciò chi senti di essere veramente, tutto procede come una danza della vita in cui non hai altro da fare che lasciarti andare al suo ritmo. Le paure non sono altro che anticipazioni negative sottili di cui puoi fare a meno, pur conservando la precauzione adulta con la quale pianificare le tue prossime mosse.
Sorge spontaneo un senso profondo e indescrivibile di gratitudine verso quell’energia intuitiva che ti sostiene ad ogni passo. Un sentimento che, tuttavia, risulta difficile condividere con gli altri, poiché il linguaggio della mente manca di quel calore del cuore necessario per raccontarla pienamente.
Commenti