Qual’è lo strano legame tra la coscienza e la malattia? La maggioranza delle persone vive galleggiando ad un livello superficiale di sensibilità e di percezione, cercando di mantenere l’equilibrio precario del „quieto vivere”.
Appesantite da sensi di colpa e da spropositate ingiunzioni genitoriali impartite ai tempi della fragilità infantile, le persone comuni vanno comunque avanti come meglio possono, portandosi il fardello esistenziale con la pazienza del loro povero Cristo introiettato. Finché non arriva la malattia.
La malattia è la spia della psiche per troppo tempo ignorata
Imparare a conoscersi, a perdonarsi e a convivere amorevolmente con le proprie mancanze sviluppa anche una sorta di sensibilità particolare sulle questioni riguardanti il proprio corpo. Chi impara ad ascoltare oltre i sensi fisici non può più ignorare i legami del proprio corpo con una realtà ancora inesplorata: l’energia.
Ognuno di noi è il suo proprio diavolo, e noi facciamo di questo mondo il nostro inferno (Oscar Wilde)
Tutte le civiltà antiche collegavano la malattia alle entità di natura divina e demonica, o ai propri antenati ancora vigili osservatori della vita sulla terra. Tranne l’antica medicina cinese, la quale attribuisce all’energia dei cieli, un concetto straordinariamente avanzato, il ruolo chiave nel mantenimento dello stato di salute.
Con la teoria ippocratica degli umori, la malattia non fu più considerata la conseguenza del peccato divino, della maledizione demoniaca o del disaccordo degli antenati sulle scelte dei loro posteri. Entra nel campo la psiche, cioè la responsabilità individuale sulla propria vita e salute.
La malattia invita all’integrazione di ciò che siamo veramente
Considerando l’evoluzione individuale dell’uomo come un processo dinamico di integrazione continua dei vari aspetti della propria identità, allo stesso modo la sua nuova prospettiva integrata su di sé non può escludere, oltre il corpo fisico, il suo corpo mentale, emozionale, spirituale ed energetico.
Così come la coscienza racchiude i suoi aspetti energetico, spirituale (il legame con le entità immateriali), l’aspetto sistemico (il legame filogenetico), e quello personale.
Come in cielo così in terra (Ermete Trismegisto)
A seconda dell’architettura analogica del Tutto, ogni aspetto racchiude in sé tutti gli altri, e quindi all’interno della coscienza personale si ritrovano gli elementi necessari per individuare e risolvere le disfunzioni derivanti dagli altri aspetti coscienziali. Pur dando lo spazio necessario allo studio specifico di ogni altro aspetto.
L’essere umano va molto oltre il proprio corpo fisico
Thorwald Dethlefsen, uno dei primi psicoterapeuti ad usare la terapia della reincarnazione, scrive insieme al medico Rudiger Dahlke un libro bellissimo, Malattia e Destino, nel quale propone la malattia come uno stato dell’uomo, e non più un sterile problema meccanico degli organi del corpo.
In linea con la visionaria tradizione cinese e aristotelica, Dethlefsen considera il funzionamento del corpo umano come conseguenza delle due istanze immateriali chiamate coscienza (anima) e vita (spirito). Proiettato nel terzo millennio, egli vede la coscienza come l’informazione manifestata nel corpo e da esso resa visibile. Dunque, è la coscienza il motore e la fonte della vitalità corporea, sono le idee e le emozioni che influiscono sul battito del cuore, sulle ghiandole o sulla digestione.
Il corpo è quindi il piano di espressione e realizzazione della coscienza…il palcoscenico sul quale si esprimono le immagini della coscienza (T. Dethlefsen)
I processi interni della coscienza vengono riflessi sullo stato di salute o di malattia del corpo e viceversa, il corpo è il trasmettitore delle esperienze fisiche che arricchiscono o danneggiano i contenuti coscienziali.
Quindi chi si ammala? L’anima o il corpo?
Se viene a mancare l’equilibrio, per esempio, è una questione di pesi o di coerenza di idee?
In questa più ampia prospettiva, il sintomo diventa il benevolo segnale che la coscienza ci trasmette per poter rimediare un’incongruenza dei significati profondi dell’anima.
Togliendo la componente animica della malattia, la medicina moderna diventa un rozzo intervento meccanico su una macchina, mentre il malato rischia di peggiorare ritrovandosi trattato da semplice meccanismo disfunzionale.
La necessità dello studio multidisciplinare della malattia, non viene ancora presa in considerazione dagli luminari della scienza medica attuale. Questo sicuramente per la ridotta capacità degli studiosi di riconoscere l’importanza della coscienza dentro di sé.
In realtà, le cause primarie della malattia risiedono altrove, non nelle ossa, nei muscoli o nelle singole cellule. La percezione della vita oltre la carne porta all’interesse per la psiche e per i suoi processi. Comprendendo ciò che avviene nella propria anima, si può raggiungere non solo il benessere psichico, ma addirittura si può guarire.
Il sintomo è un segnale di avaria
Come la sofferenza psichica, il sintomo rappresenta la torcia che ci illumina la ricerca di ciò che manca. Grazie al linguaggio del sintomo potremmo risalire alla causa profonda del male e della sofferenza. La lingua del malato è piena di simbolismi, è la lingua del Bambino che cerca di capire il mondo senza discernimento, usando solo l’istinto e la libera associazione a seconda del suo profondo sentire.
Per un Bambino certe persone sono senza cuore, quello si è fatto un fegato così, ci vogliono le palle per fare determinate cose, mi va di strapparmi la pelle, sono raffreddato, è giallo dall’invidia, mi sale il nervoso, ecc.
Dethlefsen parla del linguaggio psicosomatico che unisce la psiche al corpo, e della necessità di reimpararlo, cercando di discernere tra le informazioni relative al fisico e quelle sullo stato d’animo. I sintomi sono di una sincerità dolorosamente autentica, che raramente abbiamo la forza e la voglia di affrontare. La verità dei sintomi ci mette di fronte le proprie mancanze e ci invita ad integrarla senza combatterla.
La malattia rende onesti e svela senza pietà le pieghe più nascoste dell’anima…L’onestà rende l’ammalato simpatico – perché nella malattia l’uomo diventa autentico. La malattia compensa tutte le unilateralità e riporta al centro. (T. Dethlefsen)
La malattia non va mai combattuta, ma trasmutata
La guarigione, cioè l’integrazione della parte mancante di sé, avviene con la trasmutazione della malattia, con la comprensione del suo messaggio, e non con la vittoria della stupida battaglia contro i sintomi indesiderati.
Nella prospettiva analitico transazionale, la malattia svela il Bambino ferito, indebolito nella sua incapacità di integrare, cioè di accettare l’inconcepibilità della vita. Con la saggezza di chi si deve salvarsi in extremis, il Bambino nasconde le sue sofferenze compensandole energeticamente con i grandi sforzi che l’Adulto compie per poter navigare incolume nel mare tempestoso della vita. Tutto questo ha però un prezzo altissimo in termini di salute. Anni e anni di ragionamenti incompleti e di emozioni incongruenti si trasformano lentamente in comportamenti autodistruttivi e in disfunzionalità corporee.
Basta pensare quanto sia dipendente la postura del corpo dalla valutazione intima di se stessi, quanto sia collegato il sistema ormonale e muscolare ai pensieri. Il rancore e la rabbia intossicano il fegato, la paura improvvisa disturba il cuore, la tristezza e la frustrazione accorciano il respiro.
Una volta apparsa la malattia, il malato è finalmente sincero, può mostrare liberamente la sua invalidità senza più nascondersi dietro alle parole o ai fatti. Tramite il sintomo, l’inconscio riemerge nella naturale tendenza di essere rielaborato.
La malattia ha bisogno di perdono, di cambio di prospettiva, di lasciar andare, ma rende il corpo devastato come un campo di guerra, in balia della volontà ultima di vivere o di morire.
Commenti