Siamo sicuri dell’autenticità della nostra vita? Chi può dire con certezza di essere completamente sincero con se stesso e con gli altri? Oltre le bugie immediate, nella vita di tutti i giorni il modo più frequente per evitare di essere autentici è fingere. E dove c’è la finzione, ci sono i giochi dell’essere “per finta”: facciamo finta di essere affidabili, morali, altruisti, amichevoli, buoni. In realtà invece, stiamo soltanto giocando. A che gioco giochiamo di solito?
L’intimità è la nostra meta più ambita. A sapere che tutti i casini che combiniamo lungo gli anni non siano altro che il risultato della nostra assidua ricerca di intimità…
Ma l’intimità non è facile da raggiungere, così come la nostra spontaneità non sia più una caratteristica dei nostri approcci quotidiani. Il contatto ravvicinato è l’unico modo per collegarci l’uno con l’altro a quei livelli di profondità che ci rendono uniti, cioè completi, motivati e appagati. Ma è anche l’unico modo per sentire il dolore atroce della perdita, della solitudine e della delusione. Quindi, è meglio giocare all’essere vicini.
Dentro di noi c’è un Piccolo Professore che gioca alla vita
Berne ha individuato nello stato dell’Io Bambino dei suoi pazienti un Piccolo Professore che, imitando l’approccio adulto, viene ritenuto il geniale autore dell’impostazione dei giochi. Con la creatività manipolatorie del bambino tra due e otto anni, il Piccolo Professore in ognuno di noi tenta di evitare gli aspetti spigolosi della vita costruendo uno scenario drammatico complesso attraverso il quale le nostre relazioni quotidiane diventano giocose, meno pesanti, quindi meno cariche di responsabilità. Il rischio inevitabile è la perdita di autenticità, ma il vantaggio resta inestimabile per un bambino privo del supporto necessario per affrontare i dolori della crescita.
Più in generale, i giochi sono componenti integrali e dinamiche dell’inconscio piano di vita di ogni individuo; servono a riempire il tempo in attesa della conclusione definitiva, promuovendo contemporaneamente l’azione. Poiché l’ultimo atto esige o un miracolo o una catastrofe, secondo che il progetto di vita sia costruttivo o distruttivo, i giochi saranno di conseguenza costruttivi o distruttivi.
eric berne (a che gioco giochiamo, 1964)
L’autenticità è una questione di background, di contesto e di forza interiore. Né la famiglia, né la società e nemmeno la motivazione personale puntano verso l’essere autentici. Perché le illusioni sono le maglie di una rete molto fitta che protegge tutti non dalla realtà, come solitamente ci viene detto, ma dal polo negativo dei nostri bellissimi sogni idealistici di pace e amore. Preferiamo vestirci di ruoli che non ci rappresentano veramente soltanto perché non sappiamo quanto sia facile e disponibile la realtà.
Quindi, a che gioco giochiamo?
Niente è più divertente di un gioco, no? E come ben abbiamo visto, lo stato dell’Io Bambino ne è il protagonista assoluto. Perché strutturare il nostro preziosissimo tempo con i passatempi e le ritualistiche genitoriali, quando abbiamo la possibilità di ottenere i nostri più frenetici tornaconti giocando?
I giochi puliti sono quelli dei bambini veri. Lì c’è soltanto la pura imitazione della realtà adulta. I giochi dei Bambini intesi come gli stati dell’Io degli individui maturi, sono invece pieni di tortuosità e di inganni. Perché i giochi degli adulti hanno un tornaconto preciso: la conferma delle convinzioni interiori svalutanti su di sé, sugli altri e sul mondo.
Attraverso il gioco dell’ Alcolizzato, per esempio, il vizio di bere si dimostra ad essere l’irremovibile condanna dell’ubriacone privo di volontà e carattere, nonostante i vani tentativi degli spietati e fintamente disponibili Accusatori o degli inutili Salvatori. Accusatori che seguono lo scenario del Guarda che mi hai fatto fare, mentre i Salvatori si ritrovano con la solita battuta finale Sto solo cercando di aiutarti.
Il gioco preferito degli uomini con un dente avvelenato contro le donne è solitamente Prendimi a calci, cosa che le donne Scipitine e non molto convinte della bontà degli uomini, fanno irrimediabilmente.
Il classico gioco della vittima perfetta è Perché deve capitare tutto a me, una frase che sentiamo fin troppo spesso in giro. Come altrettanto spesso sentiamo le persone dicendo Sei stato tu a cacciarmi in questo guaio, oppure, più semplice, è Tutta colpa tua.
Ma il gioco più animato in assoluto, che riempie le bocche chiacchierone di tutti i paesini, è Ti ho beccato, figlio di puttana, in cui la moglie gelosa sorprende in flagrante il marito adultero, o viceversa. Ovviamente i ruoli possono essere attribuiti anche al brav’uomo che sorprende il suo miglior amico tradire l’amicizia andando con la propria moglie o fregandogli i soldi dal conto corrente. Le varianti sono tantissime, il tradimento invece resta il tema centrale.
Perché giochiamo?
In origine il gioco avrebbe dovuto offrire la possibilità di cambiare le nostre esperienze interne, di vincere lì dove solitamente perdi, di essere perdonato quando solitamente sei preso a calci. Il Bambino non dimentica mai le situazioni in cui è stato ferito. E il gioco sarebbe l’ennesima occasione di farcela magari questa volta, ma poi ci sarà un’altra, e poi un’altra ancora. La “dannazione” dei giochi è che nulla di miracoloso cambia il penoso e scontato finale, nessuno tra i giocatori cambia la sua parte, malgrado la speranza nascosta del Bambino-protagonista sia proprio questa.
Nonostante l’indefinito senso di sfida, di tensione e di piacevole spinta che promette ogni volta un cambiamento e accompagna l’inizio di un gioco (anche l’innamoramento apre le danze al gioco psicologico), il finale è sempre lo stesso: la fastidiosa emozione ricatto che ci accompagna in quei soliti momenti – chiave, in cui sentiamo confermate le nostre disastrose convinzioni su di noi, sugli altri e sulla vita.
Scena o realtà?
La situazione apparente, cioè il palcoscenico sul quale recitano gli attori, è sempre una questione seria, da adulti. Ricordiamoci che il gioco nasce proprio dall’imitazione degli adulti. Può essere un contratto di compravendita, un affare importante, un incontro speciale, una richiesta. In realtà, non si tratta d’altro che di una giocosa messa in scena realizzata da bambini carichi di energia, di creatività e, soprattutto, di tanta voglia di prendere in giro il mondo degli adulti.
Nel gioco il rappresentante truffatore si aggancia all’ingenuo cliente, il disperato al suo salvatore e la donnina preziosa al maschione insensibile. Il gancio trova sempre un anello debole. Chi è alla ricerca di un gioco “liberatorio”, ignora sempre le persone “innocui”, che non gli offrono la possibilità di “attaccare briga”. Durante l’incontro avviene un magico riconoscimento, gli attori sentono quell’indefinito senso del “mi stava aspettando”, “ci siamo già incontrati” o “è la persona giusta per me”.
Immediatamente il contesto reale svanisce, lasciando spazio ad uno scenario remoto presente soltanto nelle menti dei giocatori tornati bambini. La donnina sinuosa si lascia ammaliata dall’affascinante principe, il disperato bisognoso d’ aiuto incontra la pia salvatrice delle anime ferite, mentre il rappresentante offre al futuro indebitato a vita la casa dei suoi sogni.
Il gioco è passione e speranza!
Giocare offre una sensazione di vitalità incredibile. La corsa per raggiungere il climax intuito, ma sicuramente inaspettato, rende gli attori completamente coinvolti e appassionati. “Questa volta ce la farò”, “finalmente ho l’occasione per cambiare questa cosa”, “ora sarà diverso”, “con lui/lei tutto si aggiusterà”.
Tutto prosegue magicamente bene fino allo scambio, o meglio detto il colpo di scena. In quel momento tutto si rivela una grande bugia ed il velo delle illusioni rivela una realtà terribile. Gli attori si rendono conto di aver omesso un sacco di informazioni fondamentali sul compagno di gioco, informazioni che avrebbero potuto farli evitare questo deludente finale.
Il “figlio di puttana” viene beccato e preso a calci, il salvatore si rende conto che non è in grado di salvare nessuno, mentre l’alcolizzato mette con le spalle al muro chi lo vuole aiutare e non vuole farsi un bicchierino insieme a lui. I giochi pesanti finiscono in modo più eclatante, coi titoloni di giornale, ovviamente all’ospedale, nel carcere o in ospizio.
Il sogno svanito
Il finale implica un improvviso scambio di ruoli. La vittima si rivela ad essere un persecutore ed il salvatore diventa il carnefice. Il famoso triangolo di Karpman raffigura lo schema chiuso di transazioni – relazioni -, in cui i tre ruoli principali – Vittima, Salvatore e Persecutore – glissano in un senso o in altro scambiandosi reciprocamente, senza mai uscire dal “giro vizioso”.
Finito lo spettacolo, i protagonisti si separano amareggiati e con tutte le vecchie convinzioni riconfermate alla grande. La loro realtà interiore viene dolorosamente rafforzata e la gabbia della vita diventa ancor più stretta. Il gioco potrebbe ricordare un’elaboratissima tentazione a ripetere, in cui il ritorno alla ferita originale viene dettato dalle stesse regole che l’hanno generata e avviene sempre sugli stessi binari. Nulla cambia mai, come in un incantesimo impossibile spezzare.
Come uscire o evitare i giochi? Conoscendoli. Esserne consapevoli. Conoscere i giochi vuol dire giocarli consapevolmente per poi riconoscerli e rifiutarsi di entrarci. Quando il peso del tornaconto doloroso garantito supera il divertimento generato dal gioco, allora vuol dire che siamo pronti per scegliere la via di mezzo.
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