Il concetto di gioco psicologico racchiude in sé l’intera filosofia di Berne sulla vita umana: non esistono le vittime, i salvatori e i persecutori, ci sono soltanto le dinamiche sottili fatte di rabbia, di rancori e di dolori non consumati, che sottendono la recita relazionale quotidiana. I giochi psicologici sostituiscono la vita, trasformandola in un palcoscenico in cui i falsi moralismi, le ideologie e la finzione teatrale trovano la loro necessità giustificativa nel calderone incendiario delle emozioni non elaborate del Bambino di tutti noi.
Individuare e smorzare l’energia grezza, incontrollabile che alimenta un gioco teso a parare i conti è un lavoro da titani.
I giochi ci sono ovunque, basta uno sguardo attento e una mente vigile. Si insinuano là dove c’è sempre una pentola che ribolle. Insoddisfazioni represse, rancori antichi dissotterrati, rimuginazioni inacidite sono degli ottimi ingredienti. Il gioco costituisce la finissima valvola di sfogo che l’educazione della società civile propone come sostituto alla violenza.
La possibilità di giocare rinvia il momento della verità con sé stessi, offre il tempo e l’esperienza necessarie al rinforzo del sé, ma crea anche l’abitudine alla pusillanimità, creando i presupposti per cui la finzione delle relazioni diventi una nuova normalità.
Ma vediamo i giochi psicologici più da vicino.
Come si riconosce un giocatore incallito? Non è una cosa immediata, ma si rende percettibile al livello di pancia del nostro Bambino. Iniziare un gioco è divertente assai, eccita tantissimo e offre la spinta verso la vita, iniziano i preparativi, i giri di riconoscimento, le tentazioni. La seduzione è la parola chiave di questa fase, e non soltanto sessuale. L’innamoramento è un gioco fantastico! Ma anche il sentore di una preda o di una causa “salvifica”! Ci si annusa per bene, nonostante si finge molto seri e professionali, ci si “misura” per vedere se la tipologia della personalità sia corrispondente. In realtà, la decisione di entrare nel gioco è una questione di “pelle”, cioè di pochi secondi.
Non c’è nulla di più amaro di un gioco AT. Perché si svolge tra persone che, in un modo sottile e raffinato, si piacciono, o meglio, combaciano. C’è l’attrazione verso qualcosa di indefinito, un non so che impercettibile che rende le prime battute veloci, divertenti e spesso con uno stimolante doppio senso. C’è simpatia, c’è un feeling immediato inconfondibile che unisce due persone che si riconoscono compatibili al livello non verbale. Il piacere dell’incontro non è sempre obbligatorio, può manifestarsi come un’ammirazione non apertamente riconosciuta o può essere addirittura inconsapevole. Dietro al gioco resta comunque il fantasma di un bambino che ammirava tantissimo il suo genitore – oppositore.
Il partner agganciato è sicuramente colui al quale si vuole dimostrare qualcosa, è l’opportunità di rifarsi per chi sa quale vicenda ormai sepolta, ma che spunta ora all’improvviso, tra i due giocatori c’è l’aria di sfida, di competizione, di scommessa. Magari questa volta sarà diverso. C’è la sensazione del tufo nell’avventura dell’ignoto, o della gara improvvisata tra due automobilisti al verde del semaforo.
Spesso i giocatori sono inconsapevoli dell’esistenza del gioco, ma a volte si prova quel presentimento del “tanto lo so come andrà a finire, ma mi ci butto lo stesso.” Ovviamente, si spera segretamente in un finale diverso, che difficilmente avverrà.
Il gioco nasconde un’ostilità molto profonda. Al livello inconfessabile la sfida non è affatto divertente, anzi. Si tratta del rancore ormai già impresso irrimediabilmente negli schemi mentali e che non vuole altro che la sua ennesima conferma. L’idea su come sia l’altro in realtà si conosce già sin dal principio ed è proprio il suo riconoscimento intuitivo che innesca il gioco. Si può chiamare il tornaconto, ma va bene anche la profezia che si avvera. I ruoli sono dunque ben definiti sin dalle prime battute ed entrambi accettano di recitarli.
Infatti, si assiste ad una recita. I giocatori non svelano mai la loro reale indole, i loro reali pensieri. Fanno finta di vivere e interpretano i ruoli del persecutore, del carnefice o della vittima immedesimandosi nei clienti truffati, nelle donzellette sedotte e abbandonate, nei poeti incompresi o negli adulteri beccati. Se la rappresentazione teatrale si estende su una vicenda esistenziale più complessa, allora viene chiamato in causa il destino.
C’è un forte elemento nevrotico all’origine dei giochi psicologici. La fuga inconsapevole dagli aspetti dolorosi di un antico conflitto porta inevitabilmente alla finzione e all’illusione, con il risultato di ricreare proprio le situazioni simili a quelle ormai sepolte. I giochi offrono l’occasione di riproporre proprio le condizioni in cui il Bambino tanto tempo fa fallì miserabilmente. La differenza è che questa volta si tratta soltanto di un gioco, non si fa “per davvero”, e quindi non si può più fallire così dolorosamente. Infatti, il finale dal sapore amaro può essere camuffato dietro alla scappatoia consolatoria “tanto, lo sapevo che era così, non mi sono fatto coinvolgere più di tanto.”
Per questo motivo i giocatori non sono mai delle personalità autentiche. La recita si rende riconoscibile dagli atteggiamenti teatrali esagerati, dall’emotività ostentata, dalla difficoltà di considerare una posizione neutrale o comunque equilibrata.
Come in ogni recita, il colpo di scena è inaspettato e di grande impatto. L’altro si gira e fa vedere “la scritta sul dorso della maglietta”, il suo lato oscuro, proprio quell’aspetto intuito, che all’inizio aveva fornito il gancio al gioco. Evidentemente tutto sembra una sorpresa immensa, una tragedia, ma in realtà i segnali c’erano in abbondanza sin dal primo invito a giocare. La strada della verità è sempre segnata da piccole briciole che solo la consapevolezza può rendere visibili: un comportamento inaffidabile e incongruente con le intenzioni dichiarate, una clausola mancante nel contratto, un passato nascosto, una somma impossibile da procurare, un diritto calpestato. Ma la voglia di ricreare il passato oscura tutti questi indizi, coprendoli dagli scenari fantasiosi e dalle dolci illusioni.
Il loro crollo arriverà immancabilmente e sarà l’ennesima fregatura di un destino infelice, nutrito da edulcoranti ed inutili giri di boa.
L’autonomia si conquista quando si liberano o si recuperano tre capacità: consapevolezza, spontaneità e intimità.
eric berne
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