Collegato al discorso sull’ignoranza dell’anima, il processo di deumanizzazione si ritrova spesso nelle società in cui la disuguaglianza sociale è estremamente significativa.
A livello individuale,
la deumanizzazione corrisponde alla negazione delle qualità umane dell’altro, il quale viene associato ad un oggetto o ad un animale. Io ti considero un oggetto o un animale, perché in questo modo non sei più un mio pari, io divento superiore a te e non sono più responsabile del modo in cui tratto.
Il disumanizzante in realtà vuole sbarazzarsi della responsabilità morale delle sue azioni riprovevoli, attribuendo e, quindi, proiettando sul suo simile le qualità che respinge dentro di sé. Il rifiuto del proprio lato oscuro trasforma anche il più innocuo cittadino in un boia che punisce l’altro per il suo essere un oggetto privo di vita o un animale privo di umanità.
Ma l’analisi transazionale ci segnala che
le qualità che rendono un essere “umano” sono proprio le tipiche manifestazioni dello stato dell’Io Bambino, unite a quelle del Genitore. Nel Bambino ritroviamo la creatività, il coraggio, la passione, l’affettività e le emozioni, mentre nel Genitore ci sono la cura, il perdono, l’accoglienza, i valori, lo spirito. L’essere disumanizzante ha quindi una personalità problematica, che funziona soltanto nella modalità Adulto, capace di svolgere i suoi compiti di sopravivenza, ma senza l’energia motivazionale dal suo lato Bambino e la sublimazione valoriale del Genitore. In questo modo i non umani possono acquisire le caratteristiche di un organismo meccanico, privo di curiosità o empatia, o quelle di un oggetto privo di vita o invisibile, adatto alla mercificazione e alla strumentalizzazione.
Punendo l’altro per la sua disumanità, il disumanizzante separa la sua realtà interiore in due categorie: gli umani superiori, cioè coloro simili a se stesso, e gli animali e gli oggetti inferiori, che meritano di subire la violenza e le privazioni da parte dei primi.
La realtà dei fatti, invece, rivela la verità essenziale: gli esseri che si credono superiori si comportano come degli esseri privi delle qualità umane, mentre i così detti esseri inferiori conservano dolorosamente la propria umanità, costretti a unirsi per far fronte ai soprusi.
La deumanizzazione sottile
La deumanizzazione sottile è una forma più raffinata della disumanizzazione, in quanto essa non separa gli umani dai non umani, ma distingue tra gli umani dotati di emozioni primarie e gli umani capaci di emozioni secondarie, più raffinate. Questa tipologia di separazione si riconosce molto nella nostra società odierna, in cui l’ideologia di stampo progressista, bonaria e apparentemente sensibile agli ultimi, contrasta il populismo, la corrente dei rozzi popolani incapaci di andare oltre i propri istinti.
A livello sociale,
la disuguaglianza genera la divisione tra classi e la struttura gerarchica della società. La gerarchia sociale considerata dalla prospettiva psicologica rivela un tipo malato di organizzazione sociale, in cui lo spacco tra le classi viene generato dal gruppo degli individui “superiori”, che presentano grosse difficoltà di identificazione e, quindi, un Sé incompleto, fragile, molto problematico.
Per quanto riguarda la divisione sociale, Marx ci avrebbe subito spinto a pensare alla lotta di classe, ma sorprendentemente, l’inizio del ventunesimo secolo non pare sia caratterizzato da conflitti sociali significativi, pur vivendo un profondissimo gap tra i ricchi e i poveri. In un mondo in cui l’1% della popolazione detiene più della metà della ricchezza degli altri, la mancanza dell’ostilità consistente tra le due categorie diventa oggetto di studio per gli psicologi sociali.
In questo senso, Chiara Volpato firma il suo libro “Le radici psicologiche della disuguaglianza”,
in cui include i recentissimi studi relativi allo strano fenomeno. La mancanza della mobilità sociale, cioè dell’opportunità di accesso alle classi più alte, sembra sia dovuta soprattutto all’errata percezione della realtà da parte della classe maggioritaria.
Nonostante la distribuzione economica della ricchezza sia profondamente squilibrata, quasi inesistente, gli individui non percepiscono la reale situazione in cui si trovano, pensando erroneamente di possedere comunque i mezzi per cambiare il proprio status. Anzi, le difficoltà di accesso alle situazione economiche importanti vengono solitamente attribuite alle mancanze personali, cioè al poco impegno, all’incapacità o alla poca motivazione.
Che cosa alimenta questo irreale senso di colpa, che altera intensamente la visione realistica della società, ormai ridotta ai livelli di disuguaglianza dell’inizio del Novecento?
In primis la cultura delle false credenze.
La false credenze sono alimentate dai media, dall’industria cinematografica occidentale, ma soprattutto dall’industria pubblicitaria, creatrice dei miti sul famosissimo sogno americano e del miracoloso farsi da solo. Chi non ricorda il film con Will Smith, “La ricerca della felicità”?
Poi la televisione. I giornali. L’internet.
Tutti questi mezzi hanno racchiuso mentalmente le persone in una bolla immaginaria irreale, alterando le loro possibilità di distinguere la propria posizione sociale. Non importa lavorare come delle bestie, perché quando torniamo la sera stremati, ci possiamo buttare sul divano per viaggiare con la mente ovunque, consolidandoci ancor meglio le nostre illusioni e oscurando la dura realtà del giorno dopo.
Poi c’è il consumismo e denaro-debito.
Dopo il trentennio del dopoguerra, in cui le società occidentali hanno serenamente usufruito del boom economico mai visto nella storia, abituandosi al benessere e al consumo più sfrenato, alla fine del millennio il rubinetto degli stipendi si è chiuso lentamente. Per farla poter consumare tranquillamente come prima, pur rimanendo in una situazione di povertà, è stata offerta alla popolazione la possibilità di indebitarsi: rate per la casa, rate per la macchina, rate, rate, rate.
La crisi del 2008 ha dimostrato benissimo l’infamità della trappola del debito, rivelando l’attuazione di una spaventosa tecnica di manipolazione delle masse. Il debito è il pagamento dell’illusione, puoi avere tutto ciò che desideri, pur di firmare questa polizza. Ma nonostante la consapevolezza aumentata sull’infamità del debito, ancor oggi gli acquisti importanti non vengono quasi mai accettati senza l’apertura di una finanziaria. Allo stesso modo, a livello macroeconomico i rapporti tra gli stati sono dettati prevalentemente dalla consistenza del debito pubblico nazionale. L’Italia ne sa qualcosa.
L’autoconoscenza per sfuggire all’indebitamento.
I meccanismi economici di indebitamento e, quindi, di depauperamento delle popolazioni sono molto complessi e molto vari, ma tutti sfruttano senza scrupoli il lato Bambino dell’individuo inconsapevole, immerso in una serie di profondi bisogni di cui non ne è a conoscenza e che, dunque, non ha modo di soddisfare direttamente.
Per evitare la schiavia moderna, l’autoconoscenza si rivela ancor una volta l’unica strada percorribile di questi tempi, in cui la condivisione è virtuale, la collaborazione è online, e gli assembramenti sono vietati.
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