Ho dedicato anni alla conoscenza di sé sperando poi che avrei avuto il tempo di descrivere in dettaglio il misterioso percorso dell’autoconoscenza ed il cammino verso la nostra essenza. Non è stato così, non c’è più molto tempo. La via della lenta riflessione su di sé, dei ripetuti tentativi, degli errori e delle riparazioni, è improvvisamente svanita. Dobbiamo imparare subito a riconoscere la paura. Perché ora conoscere e gestire la paura è diventato essenziale.
Viviamo la più grande crisi della nostra esistenza e bisogna usare i mezzi emergenziali per affrontarla con determinazione ed efficacia. Abbiamo tutti paura. Inevitabile, naturale. Dobbiamo attingere alle proprie risorse il più velocemente possibile e con ottimi risultati.
A questo punto i consigli abbondano. Non mi è mai piaciuto dare consigli. Ho troppo rispetto per le capacità e la libertà degli esseri umani. Mi limito a dare le minime informazioni necessarie, sintetizzate benissimo grazie alla struttura teorica analitico transazionale. Poi ognuno per la sua strada. Quella più difficile? Ritrovare l’amore, o meglio la comprensione per se stessi. Conoscersi per potersi gestire.
L’analisi transazionale rappresenta il modo migliore per auto comprendersi velocemente. La nostra personalità viene costruita e si manifesta attraverso tre modalità di sentire, pensare e agire: il Bambino, l’Adulto e il Genitore, i noti stati dell’Io analitico transazionali. Come sempre nei miei articoli, la parola con la maiuscola indica lo stato dell’Io, mentre la minuscola introduce la persona reale. Iniziamo.
Ogni stato dell’Io si attiva nel suo specifico contesto.
Entriamo nella modalità Bambino per pensare, sentire e agire allo stesso modo in cui eravamo bambini. Il nostro Bambino interiore, ma anche quello esterno, comportamentale, è la fonte e la rappresentazione della nostra sensibilità, creatività, emotività, della nostra voglia di vivere o di morire.
Il Bambino è come un programma che si attiva automaticamente nelle circostanze simili agli eventi vissuti durante l’infanzia e si sviluppa secondo gli stessi algoritmi già collaudati. Ridiamo sempre allo stesso modo, facciamo sempre lo stesso tipo di ragionamento interiore nei confronti degli altri, abbiamo sempre le stesse reazioni in determinate circostanze, preferiamo sempre la stessa emozione piuttosto che un’altra.
La modalità Bambino richiede i suoi contesti specifici: gioco, affetto, intimità, creatività. Invadere i campi del Genitore o dell’Adulto oltre la soglia dell’equilibrio diventa dannoso. Comportarsi da bambini o interpretare in modo fantasioso dei concetti precisi durante un incontro di lavoro non è il massimo. Il ragionier Ugo Fantozzi, per esempio, è l’emblematico Bambino che soverchia prepotentemente l’Adulto esternando bisogni e ferite passate nei contesti più inadeguati. Mentre, viceversa, il risveglio del Bambino creativo durante un corso di pittura è perfetto.
Il Bambino è il custode delle nostre lacrime e speranze
Il Bambino può essere buono, generoso, aperto, ma anche vendicativo, timoroso, vigliacco e crudele. Le prime più difficili esperienze che abbiamo conosciuto nella vita sono quelle avvenute durante l’infanzia, cioè nel periodo in cui eravamo sprovvisti dei mezzi adeguati (esperienza, pazienza, conoscenze, ecc.) per poterle affrontare in modo appropriato. Difficilmente un bambino potrebbe reagire in modo benefico per se stesso agli stimoli negativi degli adulti. Si arrangia soltanto.
Le emozioni spiacevoli hanno una soglia di sopportazione molto bassa per un bambino piccolo, indifeso, non compreso o non amato. Per questo motivo, saggiamente, il bambino le mette da parte, in attesa dei tempi migliori per poterle affrontare con successo.
Le delusioni, i tradimenti, le offese, le umiliazioni o le mancanze vissute da bambini non si dimenticano mai. Possono essere magari rimosse dalla memoria, ma le emozioni provate a quei tempi rimangono impresse da qualche parte, a volte nel corpo, con la stessa intensità di allora, eventualmente modulate in seguito dai percorsi di vita. Nel caso in cui gli eventi spiacevoli sperimentati in passato sono stati molto traumatici, i ricordi potrebbero dissociarsi drasticamente dalle emozioni correlate.
La memoria emozionale scatta puntualmente quando meno te lo aspetti
Lungo la vita, nel momento in cui si ripresentano delle situazioni simili agli eventi piacevoli o spiacevoli passati, le emozioni si riattivano automaticamente con o senza i ricordi effettivi. Questo è il semplice motivo per il quale possiamo reagire in modo inspiegabilmente sproporzionato in circostanze che magari negli altri non avrebbero provocato nulla.
La memoria affettiva del Bambino è una memoria da elefante, non esita mai a cacciare fuori una sfuriata gigantesca in una situazione completamente fuori luogo e che potrebbe non avere alcuna similitudine apparente con i ricordi della mente. Essa influisce le nostre scelte, preferenze, azioni, tutto.
Durante l’infanzia il bambino redatta e registra con una minuziosità straordinaria il proprio copione di vita, impostando le modalità in cui avremmo soddisfatto poi da grandi i nostri bisogni rimasti appagati. Le gioie e le sofferenze del bambino che siamo stati rimarranno impresse in tutte le nostre decisioni esistenziali e in ogni istante della nostra vita.
Lo stress è il regno assoluto del Bambino
Le situazioni stressanti, rischiose, di pericolo rivelano il nostro Bambino autentico. Non quello controllato, frenato o migliorato dalla necessità di apparire in un modo approvato dalla società, ma quello nascosto, autentico, indesiderato. Durante gli eventi difficili finalmente riscopriamo chi siamo veramente.
Durante le crisi perdiamo la testa, entriamo in panico, siamo sopraffatti da un’intensità emotiva inspiegabile che ostacola la possibilità di prendere delle decisioni ben calcolate. O viceversa, nelle situazioni emergenziali spunta fuori il nostro lato energico, determinato, animato dalla volontà di proteggere e mettere al riparo gli altri. Paradossalmente, lo stress rappresenta l’esame della vita, l’occasione unica ‘per accogliere, abbracciare e anche guarire il nostro Bambino spaventato, fragile, esposto. Non sarà il momento ideale, ma questa è un’altra storia.
Le crisi, come le malattie, fanno emergere gli aspetti di noi che non siamo riusciti ad accettare ed elaborare. Più difficile sarà stata l’infanzia di un individuo, più manifesta sarà la sua tendenza a reagire in modo sproporzionato e decontestualizzato da adulto.
Affrontare il presente allontanando il passato
Il Bambino vive nel passato, la sua dimensione temporale è remota, disconnessa dalla realtà del qui ed ora. Chi ha subito dei momenti difficili da bambino non riuscirà sempre ad afferrare il senso degli eventi presenti.
In realtà, il percorso di vita non è altro che una lunga e affannosa fatica per ritrovare la via di mezzo, l’equilibrio e la capacità di sintonizzarsi al presente.
Le crisi, i soliti momenti di difficoltà che normalmente la vita ce li presenta, diventano per il Bambino sofferente quasi una tragedia insormontabile. Tutto viene amplificato, esagerato e caricato di un’emotività inappropriata, spesso dannosa. Perdere le staffe, non essere più se stessi, sentire una pressione incontrollabile, deprimersi, ossessionarsi, ecc., sono i segni che il Bambino spaventato e fragile sia entrato in azione.
Certamente non tutti gli aspetti della crisi vengono coinvolti, chi reagisce in modo sproporzionato alla clausura, chi mal sopporta la restrizione della libertà, chi non riesce a gestire l’incertezza. Iniziamo dunque a conoscere e gestire la paura.
C’è la paura del passato e c’è la paura contestuale
Le crisi importanti aprono campo libero al Bambino impaurito. La paura del Bambino proviene dalla pancia, non è mai salita alla testa. Non ha avuto la possibilità. Durante le crisi portatrici di pericoli effettivi, la paura remota attivata nel Bambino, che ha già nella sua memoria il ricordo di un pericolo, si aggiunge alla naturale paura contestuale e ci spinge a gesti privi di senso e agli estremi più improponibili.
Osservando la paura, possiamo distinguere la sua componente fisiologica, evidente nei tremori, agitazione, sudorazione, battito cardiaco accelerato, ecc., e il suo supporto cognitivo, cioè il pensiero sottostante. Il pensiero che regge la paura del Bambino è sempre inquinato dalla percezione remota di un pericolo che non corrisponde mai al pericolo da affrontare nel presente. Il bambino spaventato ha tutte le ragioni per aver paura, è piccolo, non ha i mezzi e le conoscenze per poter risolvere con successo una situazione pericolosa. Mentre da grandi un pericolo può essere sempre risolto in un modo efficace, tenendo conto degli strumenti effettivi di cui si è in possesso.
Se non porta alle conseguenze dannose e impedisce l’azione, la paura non va repressa
Riconoscere apertamente che hai paura rappresenta la condizione necessaria per poter individuare ed elaborare il pensiero correlato ad essa. Ci vuole la forza di un Bambino sostenuto dal suo Genitore protettivo per poter mostrare la propria paura. Esprimere la propria paura dimostra una maturità importante, nata dalla consapevolezza sulla propria identità e sulle risorse disponibili. Chi mostra la sua paura, in realtà ha già vinto una precedente battaglia, quella contro il giudizio, contro le accuse di inferiorità e debolezza.
Una volta espressa la paura, il pensiero diventa più chiaro ed è più facile gestire le reazioni. Libero dalle uscite sproporzionate del Bambino, il nostro lato Adulto acquista la lucidità necessaria per poter constatare, valutare e contenere il pericolo reale. Un Adulto funzionante trova subito le soluzioni migliori, donandoci sempre la possibilità non solo di risolvere la difficoltà, ma anche di imparare dalla situazione pericolosa.
Dopo il dovuto intervallo di tempo in cui il Bambino ha avuto la libertà di manifestare non soltanto la sua paura remota, ma anche la naturale paura presente generata dal contesto immediato, l’Adulto elabora i dati e indica la migliore misura da prendere. Senza il permesso e la possibilità effettiva di ridurre la scarica emotiva, il Bambino sovrasta l’Adulto, il quale non riesce più ad attivarsi.
Che cos’è il coraggio?
Una volta tranquillizzate e comprese le paure del Bambino, l’Adulto può intervenire efficacemente soltanto se alimentato dalla giusta energia. Dove si trova questa fonte di energia? La risposta laconica dei saggi: nel cuore. Che vuol dire però? Tutto ciò che spinge un essere umano verso la vita, verso il bene e verso il futuro è l’affetto per qualcuno, per qualcosa, per un valore o un ideale. Senza un legame affettivo, anche solo con se stesso o con degli oggetti materiali, l’uomo non può dare un senso alla sua esistenza.
Chi rinuncia alla vita non ha avuto la possibilità di costruirsi un solido legame affettivo. Voler bene (o male) qualcuno, qualcosa, significa trovare la spinta per ottenerlo. L’affetto esprime in fondo una mancanza, ed è proprio questa mancanza che offre la motivazione per agire.
Il coraggio non è una virtù astratta, ma esprime semplicemente questo desiderio di riempire la mancanza identitaria del sé. Più ardente è questa mancanza, più grande sarà lo slancio verso l’ignoto e meno paura si avrà. E guarda caso che il Bambino di cui abbiamo tanto parlato finora sia proprio la sede dei desideri non soddisfatti. Dentro il Bambino risiede anche il coraggio, il sogno del legame affettivo, il progetto per introdurre dentro di sé – anima e coscienza – la persona o la cosa amata.
Imparare a guarire il proprio Bambino significa dunque accedere al su inesauribile coraggio.
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